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Per l’evoluzione di Icardi c’è bisogno di Keita

Fin dal suo arrivo, Mauro Icardi è stato uno dei giocatori più discussi – e al tempo stesso più continui – della storia recente dell’Inter. Ha cambiato cinque allenatori, svariati compagni d’attacco, ma non ha mai smesso di segnare. Sono stati tanti gli interrogativi che hanno accompagnato la sua crescita, condotti dalla certezza di aver di fronte un potenziale fuoriclasse. A 25 anni Maurito è alla ricerca della consacrazione consecutiva e i quattro gol segnati in Champions League hanno contribuito ad accrescere il suo appeal internazionale. Inoltre, negli ultimi mesi ha definitivamente implementato nel suo gioco alcuni aspetti di cui in molti dubitavano. I paragoni si sono sprecati, nel corso delle stagioni: Higuain, Dzeko, fino ad arrivare a Kane. Icardi ha resistito a quest’onda d’urto e grazie al lavoro con Spalletti ha affinato le sue doti di palleggiatore, arrivando a essere un fattore anche fuori dall’area di rigore.


Tutto comincia nella notte più buia, quando l’Inter inciampa sul PSV e si fa sfuggire una qualificazione agli ottavi di finale che era ad un passo. Nel marasma generale, nella confusione e nella fretta di voler ribaltare un risultato bugiardo, tutta l’Inter si affanna verso la porta avversaria, tirando alla rinfusa e cercando soluzioni mal costruito. L’unico giocatore lucido rimane Icardi che fa da sponda a tutto campo, svariando spesso e arretrando di molti metri. Poi, segna un gol di testa complicatissimo, che lui trasforma con una semplicità disarmante. Ma l’Inter si abbandona a sé stessa e la prestazione del numero 9 passa in secondo piano rispetto al processo mediatico di una squadra che era grossomodo in linea con gli obiettivi di inizio stagione.

Si teme il consueto patatrac invernale, con la squadra che accusa il colpo e getta la spugna in campionato. Il periodo che va dalla sconfitta con l’Atalanta al pareggio contro il PSV è il più complicato della stagione. In quel momento Icardi continua a lavorare sulle indicazioni di Spalletti, che nel frattempo sta compiendo un’altra piccola rivoluzione copernicana all’interno delle gerarchie di squadra. Dopo diversi mesi di sciattezza, la titolarità indiscussa di Perisic viene messa in discussione in favore di Keita, in rampa di lancio dopo mesi complicati.

Parlare dell’innesto di Keita all’interno dello scacchiere tattico di Spalletti è contestuale alla crescita di Icardi. Infatti, Maurito trova finalmente un giocatore frizzante e – rispetto alle sue prime uscite – finalmente concreto, che magari lascia qualche spazio di troppo dietro di sé in fase difensiva, ma controbilancia con una presenza costante e pericolosa quando l’Inter è in possesso. I movimenti senza di palla di Keita, a convergere verso il centro o a scappare alle spalle del difensore, aiutano moltissimo la crescita di Icardi stesso: Perisic e Candreva sono giocatori monodimensionali, in grado di percepire il campo in due direzioni. Keita, con le sue sterzate diagonali, permette a Icardi di sistemarsi fra le linee e di trovare un riferimento ulteriore in area di rigore.

Uno dei capi d’imputazione mossi a Icardi, in queste quattro partite senza gol, è l’aver abbandonato il suo classico movimento sul primo palo. Ma in realtà questo suo allargarsi sul secondo palo è contestuale all’inserimento di giocatori come Nainggolan, Keita e Vecino in area di rigore, che in linea teorica dovrebbero fornire quel rimorchio così assente nella stagione 17/18.

Icardi tocca più palloni rispetto all’anno scorso, senza snaturare il suo stile di gioco: uno, massimo due tocchi per rendere più fluida l’azione. L’idea di centravanti boa è desueta, Icardi predilige in gioco in velocità, il fraseggio veloce. E il centrocampo a tre orchestrato da Spalletti, soprattutto grazie alla figura di Joao Mario, permette a Maurito di esprimersi sotto questo punto di vista. L’Inter è la seconda squadra, dietro al Napoli, che effettua più passaggi a partita: 517, trenta in più della terza classificata, ovvero la Juventus. Quest’upgrade, senza un centravanti mobile come Icardi, non sarebbe possibile.

Certo, Maurito ha ancora alcune pause nel proprio gioco. Basti pensare alla partita trionfale contro il Tottenham, a San Siro: Il 9 ha quel guizzo da campione, dopo 90’ impalpabili, senza palloni giocabili. È il paradosso che l’accompagna fin da quando è arrivato a Milano, e che questa stagione assume le fattezze di Lautaro Martinez: in una sorta di sindrome Stinsoniana, per i tifosi dell’Inter “Nuovo è bello”. Quindi sono in tantissimi a chiedere un po’ più di turnover, quando Icardi non ingrana. Per vedere di che pasta è fatto il Toro. Spalletti lo fa giocare sempre perché sa che tipo di apporto può dare alla squadra: i suoi gol quest’anno sono valsi 17 punti, tra campionato e Champions League. Se ci si aggiunge l’assist vincente per D’Ambrosio contro la Fiorentina, si sale a quota 19 che è sensibilmente inferiore dei punti che Icardi aveva assicurato la stagione scorsa, alla diciannovesima giornata. Solo che in quel caso le marcature erano già 14. Quindi Icardi segna meno, ma è efficace allo stesso modo. Anzi, se esistesse un coefficiente specifico per i gol, i suoi valori raddoppierebbero: ogni punto del girone di Champions League è stato accompagnato da una sua rete. A 25 anni, con il rinnovo più importante della sua carriera in arrivo, Icardi ha tutto per confermarsi tra i giocatori più decisivi della storia dell’Inter. Con buona pace degli scettici.

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