Vedere Romelu Lukaku andare via dall’Inter dopo solo due stagioni è qualcosa che non ti aspetti. E’ come scoprire che Captain America fa parte dell’Hydra, o che Jon Snow si allea con il Re della Notte o – ancora di più – immaginare Obi-Wan Kenobi dalla parte dell’Impero.
Il problema è che qui non c’è niente da immaginare, è tutto vero.
L’aspetto più beffardo è che se n’è andato quando nessuno se l’aspettava. L’addio di Hakimi è qualcosa cui l’ambiente Inter si era dovuto per forza di cosa preparare: o lui o Lautaro, si diceva già da Maggio. Conte che alza i tacchi e se ne va, era un qualcosa cui ogni interista era oggettivamente preparato dall’estate scorsa. L’equilibrio precario con cui si è deciso di andare avanti dopo Villa Bellini faceva presagire che tutto poteva succedere. Ma con Romelu Lukaku ci si aspettava qualcosa di diverso. Non foss’altro per le dichiarazioni di Lukaku stesso e dei dirigenti, non più tardi di qualche settimana fa. Dall’Europeo alle prime uscite stagionali, niente faceva pensare che ci si stesse preparando a una svolta del genere.
Che è una botta tremenda, dentro e fuori dal campo.
La corsa al colpevole onestamente non è interessante. Capire se sia stato prima Lukaku ad aprire al Chelsea o l’Inter alla cessione, poco importa. Lukaku in queste ore sta facendo le visite mediche tra il Belgio e Londra e poi partirà il solito iter degli annunci. Quel che rimane da fare, è trovare un piano. Perché quel che ha più destato sconcerto, perlomeno nella mente di chi scrive, non è solo la cessione di quello che era diventato il simbolo del club, ma la pochezza di nomi che si stanno susseguendo per sopperire alla sua partenza. E lo sconcerto ha trovato presto l’ottima compagnia del senso di impotenza nel guardare sgretolarsi le certezze tecniche dell’Inter: Conte, Hakimi, Eriksen (torna presto!), ora Lukaku.
E il progetto?
Non è possibile pensare di pagare 35 milioni Duvan Zapata: un ottimo attaccante, per carità, ma un classe 1991 che ha trovato la sua dimensione nel calcio iper-organizzato di Gianpiero Gasperini. E soprattutto, non si può pensare di abbinare il suo profilo a quello di Edin Dzeko – che per tipo la seicentesima volta sembra essere a un passo dal vestire la maglia dell’Inter.
In tutto questo, bisognerebbe pensare di mettere Simone Inzaghi nelle condizioni migliori per portare a termine i suoi obiettivi. Che, a quanto pare, sono diventati passare il turno in Champions League e provare, con le unghie e con i denti, a fare più punti possibili in campionato – in attesa di vedere come si ridefinirà lo scacchiere emotivo della Serie A dopo questa estate di mille cambiamenti.
Ma che tipo di punta serve al mister, per il suo gioco? Ci sono dei nomi, nella tabella interista, che esulano dai soliti noti e che possono essere una carta interessante?
C’è bisogno di un jolly, una carta pescata dal mazzo (Vlahovic, Raspadori, Madueke) che riaccenda un minimo di speranza in un’ambiente che sta vivendo quella che doveva essere un’estate tranquilla e che si è trasformata in una delle più tormentate degli ultimi 5 anni. Ed è paradossale, perché la squadra non è mai stata forte quanto ora: la difesa migliore del campionato, un duo di centrocampisti che l’anno scorso ha annichilito la concorrenza (Brozo-Barella) e uno degli attaccanti più elettrizzanti d’Europa. Ma l’aspettativa di tutti, dopo il primo titolo in undici anni, era quella di guardare in avanti.
Non di essere costretti a riavvolgere il nastro all’era prima di Conte.
C’è bisogno di chiarezza, perché adesso (e la querelle Lautaro-Tottenham ne è la prova) ogni voce verrà pompata all’inverosimile, ogni spiraglio di notizia sarà data per certa. I tifosi, l’ambiente si affidano a Marotta e Ausilio – e soprattutto alla guida tecnica di Inzaghi, chiamato agli straordinari dopo nemmeno mezza partita ufficiale giocata – per riportare un po’ di calma, per tornare a concentrarsi solo sul campo. Dove l’Inter ha stravinto lo Scudetto e dove – al netto di tutto – può ancora dare battaglia contro tutte le big del nostro campionato.
Lukaku è andato via e la proprietà – per ragioni a noi ignote, visto che NON conosciamo il quadro in cui la famiglia Zhang sta operando, nonostante le notizie che arrivano dalla Cina – sta prendendo delle decisioni (e parliamo da appassionati, non da tecnici) incomprensibili sotto il punto di vista tattico ed emotivo.
Qualcuno forse prima o poi spiegherà cos’è successo e – soprattutto – cosa succederà a una squadra che ha visto bloccarsi un progetto che ha riportato la gloria dopo dieci anni di disastri.