È oggettivamente strano fare un pezzo di analisi dopo una settimana in cui non c’è nulla di campo da analizzare; non è nel nostro modo di vedere le cose, eppure è giusto garantirvi il nostro punto di vista al termine di ogni giornata visto la dedizione con cui ci seguite – e anzi approfittiamo per ringraziarvi per esservi iscritti alla newsletter e se ancora non l’avete fatto vi basta arrivare al termine del pezzo per poterlo fare -.
Abbiamo riflettuto a lungo di quale argomento discutere, abbiamo anche pensato che forse sarebbe stato giusto non commentare nulla, ma poi è giunta la domenica sera e a completare la giornata di Serie A è arrivata l’intervista di Massimiliano Allegri e come poterci esimere dal commentarla assieme a voi? D’altronde, cosa c’è più di campo di un allenatore che discute per più di due ore di questo argomento?
Partiamo da questo per poi svariare, come piace a noi, e ci scusiamo preventivamente se faremo dei giri immensi (in)degni di Manzoni nei Promessi Sposi.
Quello che per moltissimi è stato l’allenatore più vicino a sedersi sulla panchina nerazzurra per la stagione 2020/21 lo ricordavamo diverso. Quello visto ieri sera parlava di amore per i giocatori di qualità, di conciliare le due fasi in nome dell’equilibrio, salvo poi ricredersi sul finale, insomma, una versione puramente democristiana di Allegri che poco si addice all’allenatore che sbraitava in TV quando gli si faceva notare che Mandzukic non era un esterno di attacco o che in alcune occasioni le sue squadre trovavano un equilibrio più basato sulla metà campo difensiva che su quella offensiva (cosa che, sia chiaro, non dovrebbe indispettire nessuno, anzi) o che anteponeva il risultato a tutto (altra cosa che non dovrebbe infastidire nessuno) tanto da coniare il dualismo fra giochisti e risultatisti.
Quello di ieri sera aveva le fattezze del comizio elettorale con i seggi prossimi all’apertura. E questa sensazione si è avuta sempre più forte quando è stato toccato l’argomento Inter: “Galliani mi diceva sempre che in Europa non ha mai vinto una squadra che gioca con la difesa a tre” o ancora “Galeone mi ha insegnato che i giocatori tecnici nelle big italiane devono arretrare il raggio di azione e quindi anche Eriksen potrebbe diventare un ottimo regista” (lui che preferiva Van Bommel a Pirlo, ndr) per terminare con “Nonostante abbiano caratteristiche fisiche diverse, Lukaku e Lautaro sono molto simili“. Insomma, una candidatura in piena regola alla panchina dell’Inter, a voler leggere meglio dentro queste parole dicendo apertis verbis che lui avrebbe delle soluzioni chiare e definitive per portare l’Inter dove merita, vale a dire in una semifinale di Champions League.
A voler pensar male il solo scopo di frasi simili pronunciate in una settimana in cui l’Inter è stata nell’occhio del ciclone e non ha potuto giocare è quello di creare distrazioni o bailamme attorno a essa, a voler pensar bene Allegri aveva il solo scopo di rimettersi su piazza, possibilmente italiana.
Già, l’occhio del ciclone. O l’occhio bendato di un ciclone guidato dalla fortuna, come preferite voi.
Ci limitiamo solo a dire a tal proposito (e varrà anche per le prossime puntate de L’Orologio Podcast, sempre che non impazziamo sia io che Lo Prato) che associare la parola fortuna a un evento come questa pandemia da più di 100mila morti è quantomeno di cattivo gusto e il fatto che le scuse, non verso l’Inter, ma verso chi ha patito maggiormente in questo non siano ancora arrivate è ancor più di cattivo gusto.
Con ciò detto, però, vogliamo toccare, in conclusione la situazione grottesca dei protocolli sanitari internazionali.
È evidentemente il vulnus di questa stagione il non aver pensato con l’adeguato anticipo che le autorità sanitarie potessero discutere della salute degli atleti (chi l’avrebbe mai potuto dire, d’altronde) e nonostante si sia a marzo le cose non volgono affatto verso il meglio. L’ultima notizia in ordine temporale al momento della stesura di queste righe è la fiducia di Dalić ripone nei confronti della presenza al ritiro croato di Brozović e Perišić nonostante siano in isolamento cautelativo. Che si aggiunge alle parole di speranza del c.t. danese e di molti altri sparsi per l’Europa. La situazione è paradossale, se permettete: come possono dei giocatori, attualmente in quarantena cautelare, viaggiare per poi rimettersi in isolamento fino a nuovo ordine? Qual è il senso di tutto ciò? Perché Barella, Sensi e Bastoni dovrebbero cambiare luogo di isolamento da Milano a Coverciano senza nemmeno poter giocare? È condivisibile che i sobborghi fiorentini godano di una vista migliore e più salubre del centro di Milano, ma perché dover arrivare a generare situazioni così paradossali?
Insomma, da qualsiasi punto di vista si voglia prendere questo weekend, se si vuole tirare in ballo fortuna e sfortuna si può tranquillamente dire che da parte nostra c’è stata solamente una grande sfortuna non aver potuto assistere a Inter-Sassuolo: ci saremmo goduti una partita di calcio e avremmo lasciato da parte questi discorsi che lasciano molto il tempo che trovano.