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Cosa ci resta di Mauro Icardi

Quando Mauro Icardi è ripreso dalle telecamere mentre sale su un aereo per Parigi, non so cosa pensare. Da un lato sono certamente sollevato: un anno di circo mediatico attorno al capitan, ehm scusate al numero nov, ok al numero sette nerazzurro avrebbe probabilmente provocato una rivoluzione popolare in piazzale Angelo Moratti. Dall’altro, gli addii mi rattristano sempre, soprattutto perché l’uomo che ho guardato entrare nel terminal dei privati alla Malpensa è stato il simbolo dell’Inter degli ultimi sei anni. In questi casi, cosa si dice? Per quanto mi riguarda, c’è un piccolo bigino delle emozioni calcistiche cui mi affido sempre per trovare una spiegazione, una riflessione o semplicemente uno sfogo: Fever Pitch. Qualsiasi appassionato di calcio ha incontrato per la sua strada le perle di Nick Hornby, il primo scrittore a dare dignità novecentesca al gioco del calcio, rendendolo pop: nel suo libro, Hornby tratteggia il mondo del calcio e le sue incongruenze, sempre in bilico fra sogno e realtà. E, a proposito di addii e giocatori forti, nelle ultime pagine trova spazio una riflessione di fine anni Ottanta, quando i tifosi dell’Arsenal si stavano preparando all’addio di uno dei loro giocatori più rappresentativi, Liam Brady:

“Avevo convissuto per un anno con la possibilità che Liam Brady venisse trasferito a un altro club alla stessa maniera in cui, alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, gli adolescenti americani avevano convissuto con la possibilità di un’apocalisse incombente. Sapevo che sarebbe successo, tuttavia mi abbandonavo alla speranza“.

Avete notato anche voi la bizzarria delle due situazioni? Nel primo caso, i Gunners volevano a tutti i costi far rimanere il proprio protetto, l’elemento del vivaio, valorizzato e cresciuto ad Highbury. In questa situazione, invece, l’apocalisse incombente si sarebbe consumata qualora Icardi fosse rimasto a San Siro. Quindi, anziché cercare di allontanare il più possibile il momento dell’addio, la tifoseria interista (vero grande sconfitto di questa storia) ha cercato in tutti i modi di rendere possibile, concreto, vero, immediato l’addio di Maurito: a tal punto era arrivata la disperazione di tutti. E sì che i tifosi dell’Inter negli ultimi vent’anni ha dovuto dire addio a, per dirne due a caso, il Fenomeno Ronaldo e José Mourinho: la separazione con l’ex capitano è sembrato necessaria per riappropriarsi di una dose di interismo che negli ultimi mesi era venuta meno. La storia che porta al trasferimento di Maurito al PSG la conoscono tutti, ma forse è giusto ripercorrere le tappe che hanno condotto all’isteria collettiva dell’ambiente interista.

PAROLE – Wanda Nara è moglie e procuratrice di Mauro Icardi. La verità è che a molti non è mai andato a genio questo doppio ruolo, per una visione abbastanza riduttiva della figura della donna nel ventunesimo secolo. Certo, quando l’agente del capitano dell’Inter diventa opinionista in un programma sportivo, questo si trasforma in un problema, un unicum nel panorama internazionale, soprattutto se il suddetto agente non si fa remore nel parlare pubblicamente di argomenti delicati quali il rapporto con i compagni o il rinnovo di contratto, tema ormai caldo una stagione sì e l’altra pure. Wanda Nara siede sulle poltrone di Tiki Taka e inizia a mandare segnali controversi all’indirizzo della dirigenza dell’Inter, trepidante di iniziare le contrattazioni per adeguare lo stipendio di Icardi: Zhang e Ausilio, e successivamente Marotta, non si sono mai opposti a portare lo stipendio di Icardi al pari di quello degli altri big della Serie A, hanno solo chiesto rispetto dei tempi. Tuttavia, il 4 settembre 2018, esattamente un anno fa, Wanda Nara sgancia la prima bomba: “Icardi poteva andare alla Juventus. L’hanno cercato, poi hanno preso Ronaldo. Ma Mauro poteva essere della Juve”. A novembre, Nara torna a battere sul tasto della Juventus, sostenendo che Icardi ha rifiutato la Juve (“e molti più soldi, lo volevano in coppia con Ronaldo”), per poi sostenere che il rinnovo verrà fatto quando lo vorrà l’Inter, che adesso ha cose più importanti cui pensare (la qualificazione in UCL, ndr). Continua a sostenere che per Icardi c’è la fila di offerte ma che lui vuole solo l’Inter. A dicembre rincara la dose, sostenendo che l’Inter ad agosto aveva praticamente ceduto Maurito alla Juventus in cambio di Higuain e cinquanta milioni, non fosse che il nostro ha deciso di rimanere perché lui è interista. Ausilio sbotta, nella prima uscita della dirigenza a tema Wanditos: “Sono dichiarazioni folkloristiche. L’Inter vuole rinnovare Icardi? Questo sì”.

CAPITANI – Poi succede che l’Inter esce dalla Champions League e a gennaio affronta il consueto, drammatico calo di prestazioni che fa traballare tutto l’ambiente. Icardi smette di segnare, arriva in ritardo al rientro delle vacanze di Natale, Spalletti lo multa, iniziano i primi malumori. La squadra non gioca più, stenta con il Sassuolo, perde con il Torino e con il Bologna in casa – si parla di esonero di Spalletti, di Cambiasso come traghettatore. Al Tardini di Parma, l’Inter vince dopo una partita complicatissima – risolta da Lautaro Martinez – ma negli spogliatoi succede qualcosa, la frattura è insanabile. Il tecnico nerazzurro va in conferenza e chiede alla società di “fare chiarezza”: il 13 febbraio, con uno striminzito tweet, la fascia di capitano viene tolta dal braccio di Maurito e consegnata a Samir Handanovic – che da quel momento in poi dà un paio di giri alle sue viti traballanti e finirà il campionato come miglior portiere della Serie A. La dirigenza, insieme a Spalletti, comunica la decisione a Icardi e il suo nome scompare dalla lista dei convocati per la trasferta di Europa League a Francoforte. Il tecnico di Certaldo non risparmia nulla al suo attaccante e in conferenza punta il dito contro di lui: “Io l’ho convocato, è lui che se n’è andato a casa”. Il resto sono dolori al ginocchio, convocazioni di avvocati, dichiarazioni al vetriolo, telefonate di Marotta a Tiki Taka e offerte rimandate al mittente per tutta l’estate con la ciliegina sulla torta di una causa legale intentata dagli Icardis nei confronti dell’Inter per poter tornare ad allenarsi in toto con la squadra. Insomma, quando Dante ha descritto l’inferno forse si è dimenticato un paio di gironi; il tifoso dell’Inter ci ha sguazzato per sei mesi abbondanti.

THE END – Ora, le colpe sono tante, le più disparate. Non ci sono vincitori né vinti, da questa querelle. Solo sopravvissuti: Marotta e Zhang hanno tenuto fede alle loro idee, debellando lo spirito di una squadra inconsistente e i loro leader (poco) carismatici. Non hanno ceduto all’ombra della Juventus, piazzando Icardi alla cifra minima che ci si aspetta per un giocatore da 124 gol in sei stagioni. La procuratrice Wanda ha ottenuto il raddoppiamento dell’ingaggio di Icardi, portandolo a giocare in una realtà mondiale, insieme a campioni del calibro di Mbappé, Cavani e Verratti. Certo, l’ambiente parigino è esplosivo, ma c’è tutto per aggiungere in bacheca qualche trofeo. Quel che deve far riflettere è l’imbarazzo di tutti nell’incapacità di salutarsi come si converrebbe dopo una storia lunga sei stagioni. Come dici addio all’attaccante che hai visto crescere, diventare capocannoniere per due volte, l’hai riconosciuto come tuo capitano e l’hai visto piangere per la maglia? Prima del tracollo, ovviamente. Forse il modo migliore l’ha trovato proprio Mauro, con una banalissima storia su Instagram, in cui elenca quelli che sono stati i suoi numeri: le partite che ha giocato, quasi tutte. I gol che ha segnato, tantissimi. Gli assist, un po’ di più ogni stagione. È un “arrivederci” che suona come quel falsissimo “ci sentiamo” che sussurri a mezza voce a una persona che sai che sta uscendo dalla tua vita per sempre.

Mauro Icardi è stato la storia recente dell’Inter, senza dubbio. Per qualche tempo è stato probabilmente l’unico motivo di interesse per cui valeva la pena guardare una partita della Beneamata. Il suo killer instict, la sua capacità di giocare sotto pressione e di segnare da ogni posizione, con qualsiasi parte del corpo hanno rivitalizzato una tifoseria che negli anni più duri del Financial Fair Play si stava abituando alla mediocrità. Icardi ha visto susseguirsi ad Appiano Gentile tre presidenti, sette allenatori, un dozziliardo di giocatori mediocri: lui ha continuato a segnare, s’è professato interista, ha gettato le radici a Milano convinto di rimanerci per sempre. Ma i rapporti d’amore vanno rinsaldati nel tempo, mai dati per scontati. In un mondo liquido, in un calcio senza regole come quello attuale, basta una miccia accesa nel momento sbagliato per creare situazioni irreparabili. Icardi lascia l’Inter subendo una damnatio memoriae che non sarà eterna, ma il dubbio rimarrà sempre: come verrà ricordato, Mauro? Non può più essere considerato una bandiera, né un simbolo. Sarà uno dei migliori dieci marcatori della storia dell’Inter, l’enfant prodige che poteva diventare leggenda – ma che s’è arenato sul più bello.

 

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